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Il duro, quotidiano lavoro dell'uomo e degli animali
Per poter risalire il fiume i burci dovevano essere trascinati lungo le Alzaie.
Nell'attiraglio (o alaggio) erano impegnati cavalli, buoi o uomini. Una fascia de cànevo (canapa), in dialetto detta a sàna oppure a sìngia, era ottenuta con la tela delle vele oppure di un sacco. Il barcaro la faceva passare attraverso la parte superiore del petto. Alla sìngia veniva legata con una cordicella (a sàgoea), cui veniva annodata la corda, el scandajo da spàe, che serviva per trainare la barca.
«Mandemo a tèra el bocia a tirar a singia «diceva il capobarca quando nella zona di S. Michele del Quarto (ora San Michele vecchio il vento contrario rallentava il burcio e si richiedeva l'intervento umano per facilitare la risalita. Erano necessarie 4 ore di fatica a piedi da S. Michele alle Porte mentre dalle Porte a Caposile, dieci chilometri di strada, che a spalle era dura. Quando poi era giorno di festa, per i giovani moré diventava ancor più dura, mentre camminavano con la sìngia, spesso vedevano altri ragazzi e soprattutto ragazze, che passavano per la strada per andare a ballare: una vera e propria ingiustizia. Quando il burcio era molto carico, o la corrente molto forte, il traino del barcaro non bastava più, si doveva ricorrere agli animali. Nel tratto Silea - Treviso - (Ponte della Gobba) il percorso, in cui venivano affrontati con difficoltà difficili vòlti (curve) e la corrente diventava era ancor più forte, si doveva ricorrere a 12 buoi per trainare il burcio. A queste impegnative situazioni, sovrintendeva il Comandaresso, il cui delicato compito consisteva nell'organizzare i proprietari dei buoi, garantendo loro le medesime possibilità di intervento solitamente comprese nell'arco del mese.