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Canizzano (località a ovest di Treviso) è stata considerata, a ragione, nei secoli scorsi il villaggio dei mulini. Un'indagine specifica su documenti originali fa capire che nel tratto del Sile a monte della città vi siano stati dei mulini fin da quando si imparò a sfruttare l'acqua come energia per muovere le macine. Se si tiene conto che il diritto di ripa e sulle acque del Sile spettava già da molto tempo prima del Mille al vescovo di Treviso e che tale diritto fu successivamente più volte confermato con bolle pontificie nei sec. XI e XIII, è facile supporre che l'episcopato trevigiano cercasse di sfruttare al massimo tutti i vantaggi economici che questo monopolio gli dava. In un elenco del 1178, citato dal Biscaro, di castelli, rocche e possedimenti che appartenevano al vescovo di Treviso, figura la località di Mure, anche se il mulino non vi è menzionato. Si ha inoltre notizia di atti pii vendita di mulini vescovili a Quinto nel 1227 (ai fratelli Rodolfo e Ventura da Piombino) e al ponte di S.Martino in città fra il 1208 e il 1224 (al Comune di Treviso).
D'altra parte è intuibile l'importanza dei mulini per il libero Comune di Treviso. Infatti primo compito di un potere comunale che si rispettasse era di dare da mangiare ai suoi cittadini, garantendo nel contempo la capacità di sopravvivenza in caso di assedio o di carestia.
Per questo già nel 1231 il Comune di Treviso deliberò la non alienabilità dei suoi mulini che già fossero in esercizio, e ad essi affiancò nel 1317 un magazzino pubblico di grano: il "fondaco delle biade" in piazza Duomo (nel luogo dove prima sorgeva il palazzo degli Ezzelini e dove, nel 1835, venne eretto l'attuale tribunale). I primi documenti certi sulla presenza di mulini a Mure e a Canizzano risalgono tuttavia solo all'inizio del Trecento. Fra gli atti del notaio Antonio de Nepote si trova che a Treviso, il 9 luglio del 1312, sotto il palazzo comunale, Giacomo di Borgo S.Zeno "scudelarius" promette di dare 20 soldi di denari piccoli a Rosso "mugnaio di Mure" entro 15 giorni. Se a questo si aggiunge che l'alveo del Sile è tutto un susseguirsi di tratti profondi con altri più elevati, è ragionevole pensare che le roste siano state costruite proprio in corrispondenza di questi punti più elevati. In questo modo venivano combinati - sfruttandoli al massimo grado - due fattori: velocità della corrente e innalzamento dell'alveo.
L'evoluzione storica
Passiamo ora ad un rapido esame dell'evoluzione nel tempo dei mulini di Canizzano e di Mure. Già abbiamo visto che le prime tracce certe dei mulini in questo tratto di Sile risalgono al 1312. Nel 1425 sappiamo che a Mure "Misser Zorzi Dolfin haver uno molin con rode do"». Ma è l'estimo del 1499 che ci dà l'esatta consistenza del "parco mulini" nella "Villa de Canizan". Ci troviamo di fronte a due "salti d'acqua" per un totale di 22 ruote (cui vanno aggiunte le sei esistenti nel colmello di Mure, escluso da questo estimo). Quattro mesi più tardi, il 23 novembre del 1312, si trova come testimonio in un atto notarile il mugnaio Antonio da Canizzano. Anche se i mulini non sono nominati direttamente, secondo Giampaolo Cagnin, che mi ha fornito la segnalazione, una simile dizione "mugnaio di Mure" o di "Canizzano" sta ad indicare che proprio in quella località quelle persone svolgevano la loro attività. Una cosa è certa: durante i quattro secoli di dominio della Serenissima il tratto di Sile da Quinto al ponte di S.Martino era sfruttato da un gran numero di "rode da molin", tanto che ci fu un periodo, verso la metà del Cinquecento, che vi si trovavano ben quattro "salti d'acqua" e ventotto ruote in funzione. Due "roste" (o "poste da molin" o "salti d'acqua" come sono di volta in volta chiamate) erano ubicate nella "Villa de Canizan La prima era quella tuttora esistente (ex mulini Granello). La seconda era un po' più a valle, ma sempre prima della chiesa di Canizzano e rimase in funzione fin verso la metà del XVII sec. 7. Il terzo "salto d'acqua" era quello di Mure, ancora in esercizio, sia pur parzialmente (mulino Torresan). Infine c'era il mulino di S. Angelo, in un ramo del Sile chiamato "La Fonta" all'incirca davanti alle vecchie scuole "Ferrini" ora scuola Sub. Tale mulino cessò l'attività fra il 1565 e il 1582.
Ma perchè un così elevato numero di impianti di macinazione. La risposta va ricercata nella notevole portata d'acqua e regolarità del Sile, fiume di risorgiva e pertanto non soggetto a piene primaverili-autunnali o a siccità estive.
La disponibilità d'acqua del Sile era garantita in ogni stagione ovvero, come dicevano gli estensori degli Atti preparatori, del 1826: "Il Sile poi placidamente cammina nel suo alveo naturale incassato sotto il piano delle adiacenti campagne... e non offre, nemmeno nelle massime piene, guasti degni di essere considerati." Ma perché, originariamente sono stati scelti proprio quei siti per costruirvi dei mulini? In teoria infatti nel Sile un posto vale l'altro.
E' ovvio che a tale quesito si può rispondere solo con delle ipotesi. Ma osservando le tavolette dell'Istituto Geografico Militare in scala 1:25000, si può notare che in corrispondenza delle "roste" di Quinto, Canizzano e Mure sono segnate rispettivamente queste altezze: mt. 17, mt. 15 e mt. 12. In circa tre chilometri quindi, ci troviamo di fronte a ben cinque metri di pendenza. D'altra parte a Treviso città, in una rilevazione della seconda metà del secolo scorso (e che perciò maggiormente rispecchia le "primitive" condizioni del fiume) l'altezza del Sile sopra il livello del mare, a "pelo d'acqua", era di mt. 10,833 al Ponte di S.Martino e di mt. 8,698 al Ponte Dante: in si breve tratto cioè, c'era un dislivello di oltre due metri.
II problema del livello dell'acqua
Regola tassativa per ogni mulino era di rispettare il "livello" dell'acqua. L'a!tezza esatta di tale livello durante il dominio veneziano era indicata da una pietra rettangolare di marmo chiamata la "pièra de San Marco" murata, e ben visibile, sul mulino Ma non tutti rispettavano questi obblighi. I mugnai di San Martino, per dire, consapevoli della loro importanza economica, si guardavano bene dal prestare attenzione a simili bazzecole. E quando serviva loro di facilitare le manovre dei "burchi" e barconi di vario genere che entravano a caricare farina fino nel cuore della città (la dogana era in corrispondenza dell'attuale facciata dell'Università di Treviso), chiudevano le "bòe" e l'acqua del Sile si alzava. Con quali conseguenze per gli abitanti del tratto a monte della città è facile immaginare. Alla Deputazione comunale di Canizzano non restava che ricorrere alle autorità superiori e di tali proteste ci resta traccia in un ricco carteggio rinvenuto nell'archivio del Comune di Canizzano e risalente ai primi decenni dell'Ottocento. II 30 marzo 1827, ad esempio, i "delegati" di Canizzano Ricci, Carretta e Grespan, mandarono a dire al Comune di Treviso che il tratto di strada nei pressi del ponte dei Paludi, vicino all'attuale passaggio a livello per Venezia, "pella sua prossimità al fiume Sile viene allagato dallo stesso, ogni volta che dai mugnai di Treviso vengono chiuse le paratoie..." tanto che la strada si rende: "più atta ad essere navigabile che carreggiabile, cagione per cui successero ivi vari rovesciamenti di carri e carretti con danno e pericolo dei conduttori".
Ma il Comune di Treviso se ne lavò le mani ed inoltrò reclamo alla superiore Delegazione Provinciale. Allora Giuseppe Zago e il dottor Francesco Carretta "deputati" del Comune di Canizzano, il 14 dicembre 1831 furono costretti a rivolgersi al R. Commissario Distrettuale specificando dettagliatamente, ancora una volta, i guai che il comportamento dei mugnai di Treviso provocava. "Li mugnai di S. Martino in Treviso colla semplice vista d'interesse concedono ai proprietari delle barche del Sile che vengono alla Dogana, secondo le circostanze, più o meno corso all'acqua dimodocchè ora nel rattenerla sormontano i ponti (dei mulini di Mure - ndr ), s'agghiaccia ed ecco camminando sdrucciano; la vita delle persone in pericolo di rimanere vittima sul momento; allaga le strade, marcisce le paludi e talvolta nelle maggiori influenze sormonta ne seminati. Succedono tali pericoli per l'oggetto surriferito; che se ai proprietari de molini di S. Martino fosse energicamente ordinato di lasciar libero il corso in quelle misure che son utili per loro stessi e pella Comune amministrata, mercé il livello non sarebbesi ora nella dispiacenza di vedersi protestare vocalmente il danno che tale disordine reca agli fittabili dei molini, a proprietari delle limitrofe campagne nonchè ai coloni... ed infine ciò che più rincresce è di scorgere e viandanti e ruotabili retrocedere incerti di rinvenire la strada allagata o meno… Passò un mese abbondante e il 23 gennaio 1832 l'I.R. Commiss. Distrettuale prese atto del problema e, a sua volta, mandò avanti la pratica. Alla Provincia! Non senza però convenire che: "L'arbitrio dei mugnai di S. Martino di questa città di trattenere le acque del Sile per viste di indebito guadagno, onde concederne ai proprietari delle barche del Sile che approdano alla Dogana quante ne occorrono, per cui non essendo più al loro livello sormontano i ponti, impediscono il transito ai passeggeri, e nel verno agghiacciano a modo di renderli pericolosi ". Non vi sono più traccia della polemica negli anni successivi: ma è intuibile come siano continuate le cose.
Il passaggio sul Sile
I mulini del Sile, almeno quelli della nostra zona, oltre a macinare hanno sempre avuto anche un'altra importante funzione: quella di garantire il passaggio fra le due rive. Certo, un passaggio difficile, talora infido, sempre al limite della precarietà (l'unico ponte degno di questo nome, nel tratto fra la città e le sorgenti, era infatti quello del Tiveron a Santa Cristina). Tuttavia la pur traballante passerella permetteva in qualche maniera di attraversare il fiume. D'altra parte era naturale che al "salto d'acqua" venisse addossato un ponticello, se non altro per permettere di raggiungere i mulini posti in mezzo alla corrente. E poiché in corrispondenza dei mulini c'erano sempre, come è ovvio, delle strade, ecco quindi che il ponticello veniva ad assumere per forza di cose il compito di collegare le due sponde.
Per la verità un singolare documento del 5 gennaio 1857 rintracciato fra le carte dell'archivio del Comune di Canizzano, asserisce. che un tempo a Mure c'era un "passo" sul Sile, a guado.
La cosa ha dell'incredibile se solo uno ha avuto l'occasione di vedere come ora in quel posto la corrente corre veloce. Ma si sa: il Sile è un insieme di misteri. Dalla sua formazione geologica, che resta ancora nel campo delle ipotesi al famoso passo di Plinio in epoca romana fino alle numerose leggende che popolano la sua sorgente, tutto è singolare in questo fiume. E anche l'alveo del fiume è in un certo senso misterioso, alternando situazioni di estrema profondità, a tratti che, almeno fino alla prima metà del secolo scorso, arrivavano quasi a pelo d'acqua.
E deve essere stato proprio in corrispondenza di uno di questi rialzi del fondo che, in prossimità dei mulini di Mure avveniva il guado. Ecco comunque il documento:
"Regno Lombardo Veneto, Provincia e Distretto di Treviso, Comune di Canizzano.
Questo giorno di Venerdì 5 giugno 1857. Sono comparsi in Ufficio i villici Girolamo Carniato d(etto) Goro del fu Marcantonio d'anni 67, e Vicenza Tronchin d(etto) Lugato del fu Felice d'anni 66 ambedue cattolici, ed interrogati, ed ammoniti di dire la verità sull'epoca che si guadava il fiume Sile ai Molini di Mure, attestarono concordemente, che nel 1803, lo si passava quasi senza pericolo, ma che nel 1810 il fondo del Sile era divenuto incerto, ed un individuo si è perduto con carretto e mulo, quindi ne fu interrotto totalmente il passaggio, e da quell'epoca (la strada di Mure - ndr) non fu più ritenuto come tronco comunale ma consorziale. In fede di che si sottoscrivono alla presenza dei sottosegnati testimoni, tutti di Canizzano. Carniato Girolamo, Tronchin Vicenzo; Gatto Angelo e Brugnaro Lorenzo (testimoni alle firme). Visto per l'autenticità delle su descritte firme e per la verità dell'esposto. Dalla Deputazione Comunale, Canizzano, li 5 giugno 1857.1 deputati Michieletto Valerio e Luigi Postpischel. "(AST, Comunale, b. 2853). Come si vede si tratta di una di quelle affermazioni che, se non ci fosse il riscontro d'archivio a comprovarle, si stenterebbe a credere. Ma un altro documento del 1857, sempre della deputazione comunale di Canizzano, riprende questo tema precisando che "da molti anni gli continui scavi di ghiaia praticati nel fiume, rendendolo profondo, tolsero ogni possibilità di più guadarlo" 36.
Abbiamo così anche la data d'inizio di quegli imponenti scavi di ghiaia che per circa un secolo e mezzo, con impianti dapprima mobili, poi fissi, interesseranno un lungo tratto del Sile a monte della città. Ritorniamo ai ponticelli in legno dei mulini. A chi spettava la loro, peraltro frequente, manutenzione? Un passo degli Statuti di Treviso del 1313 riportato da Netto nei "Quaderni del Sile" chiarisce ogni dubbio al riguardo, stabilendo che: "un ponte largo almeno tre piedi dovrà essere collocato davanti al mulino, a spese del proprietario, con l'obbligo di tenerlo in ordine in modo che si possa transitarvi a piedi, ma ai due capi del ponte dovrà essere collocato un graticcio, in modo di impedire il transito ai cavalli e ai carri...". E' facilmente intuibile come su questa norma si siano scatenate polemiche e contestazioni a non finire. Si chiede infatti, cinque secoli più tardi, Maria Luigia Canella ved. Bortolo Bonaventura, possidente e proprietaria di due mulini a Mure: "Poniamo che non vi fossero i molini, il ponte col passaggio da una sponda all'altra del fiume dovrebbe costruirsi e mantenersi dalla Comune..." infatti, aggiunge la Sig.ra Canella: "il ponte non serve unicamente ai molini, ma serve all'intero passaggio della popolazione dall'una all'altra sponda del fiume, anche per l'utile delle ecclesiastiche funzioni " R.
Al che risponde con una lunga lettera (puntuale e ricca di humor) indirizzata al commissario distrettuale, l'agente comunale di Canizzano Antonio Tomaello: "Non v'ha memoria nè esempio che la Comune, nè sotto la Repubblica, nè delli Governi Austriaco e Francese e neppure sotto l'attuale dominio abbia preso parte in qualsiasi minimo lavoro... "
Infatti se gli abitanti di Canizzano hanno finora utilizzato i ponti è stato per un inveterato diritto di passaggio "che sino alla rimota erezione dei molini a Mure ebbe la Comune per gli annessi ponti... ma, sia detto in buona pace di essa Sig.ra Maria Luigia Canella, che ora la Comune di Canizzano e quanti mai se ne servivano dei suoi ponticelli, hanno una strada nuovissima (quella che proprio in quell'anno si era finito di ristrutturare radicalmente: l'attuale via S. Angelo, ndr) che mette in città per Porta AItinia, mentre come per il passato vanno per Porta SS. ti Quaranta i pochi abitanti dell'opposta sponda del Sile. La comunicazione tra gli abitanti è mantenuta dai ponti di Michieletto e Dozzo (fatti tutti a lor spese fin dal 1833 senza aver (essi) sognato nè intervento della Comune nè d'interdirne il passaggio), e dalle barchette delle quali quasi tutti son provveduti, che servono pure a trasferirli alla chiesa il che tanto interessa alla sullodata Signora senza appunto averne bisogno del di essa ponte...".
La conclusione fu che alla fine i lavori sul ponte, il cui progetto opera dell'ing. Giuseppe Berlese era pronto fin dal 1832, furono intrapresi dalla Canella all'inizio del 1836, dopo che i contendenti erano giunti ad un compromesso in base al quale la Canella e gli altri proprietari dei mulini si impegnavano a mantenere in efficienza il ponte ed il Comune si sarebbe assunto l'onere di fornirlo di adeguati parapetti.
Mulini di pianura e mulini di montagna
Pur essendo entrambi messi in movimento dall'energia idraulica si differenziano per come la sfruttano.
Le ruote dei mulini di pianura sono infatti azionate dall'acqua con spinta dal basso e quelle dei mulini di montagna ricevono invece l'acqua dall'alto. A loro volta questi ultimi si suddividono in mulini "a coppedèl" aventi (al posto delle pale) delle cassette che vengono riempite dall'acqua che, con il suo peso, fa girare la ruota e mulini "a caduta", forniti di normale ruota a pale messa in moto però dall'acqua che cade all'alto.