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Tre fiumi della Marca Trevigiana, tre culture di Cino Boccazzi

Il paleolitico dell'Erega, il neolitico del Piave, il bronzo del Sile
I fiumi, dalla comparsa dell'uomo sulla terra, sono stati l'arteria vitale che ha permesso la nascita, l'insediamento e il movimento delle civiltà. Sul fiume è nato il primo mezzo di trasporto ideato dall'uomo, la piroga che ha permesso di iniziare la navigazione, i commerci, le conoscenze con altre culture. Tre fiumi della provincia di Treviso, con l'arco delle loro culture che abbracciano i millenni, sono la emblematica dimostrazione della nascita della civiltà e della cultura veneta.
Il Musone è un piccolo fiume, a tipo torrentizio che sgorga alle falde del Grappa. Nel suo tortuoso fluire fra le colline arriva a Pagnano di Asolo, alla confluenza con l'Erega, un torrentello oggi di poco conto. Fu lì, che alla fine del secolo scorso, su indicazioni di un abitante del luogo, un certo Bernardi, morto una ventina di anni fa più che ottuagenario, il profess. Dal Piaz, geologo dell'Università di Padova, poté raccogliere i resti di un «elephas primigenius» e vicino dei grandi scheggioni ai selce collocabili nell'era delle glaciazioni Riss Würmiane da 70.000 a 30.000 anni fa, manufatti di tipo musteriano (300.000-30.000 anni fa), una facies culturale del paleolitico medio sviluppata in tutta Europa verso la fine del periodo interglaciale Riss-Würm. I musteriani seppellivano i morti e usavano i colori e possedevano già una forma di organizzazione tribale.
Gli uomini della cultura musteriana cacciarono l'elephas primigenius, detto comunemente mammouth.
Lungo il corso del Piave, costeggiante il lato nord del Montello e lungo la stretta di Biadene dove passava un ramo del fiume in tempi protostorici, sui banchi di roccia puddingoide (puddinga: conglomerato costituito da frammenti grossolani dagli spigoli smussati o arrotondati che vengono tenuti uniti da un cemento naturale) di origine pontica a picco sul fiume, quindi in una posizione strategica e sicura, fiorì una vasta cultura neolitica ed eneolitica (età del rame), rivelata dalla scoperta di numerosissime stazioni preistoriche e dalla scoperta di migliaia di oggetti di selce di finissima tecnica (Boccazzi, Berti, Krull). La zona del Montello a picco sul fiume e l'altopiano sopra Biadene costituivano, secondo gli studi di R. Battaglia, «una grande isola rocciosa coperta di foreste che s'alzava in mezzo alla pianura pantanosa, spesso allagata dalle acque del fiume e doveva essere nel neolitico uno dei principali centri abitati della regione». La cultura che si sviluppò sulle sponde del Piave diede, oltre a frecce, raschiatoi, nuclei tipicamente neolitici, corrispondenti quindi a quattromila anni a.C., pugnali litici appartenenti alla cultura di Remedello (III millennio A.C.), cioè all'Eneolitico finale. Il nostro Sile è invece la culla di una straordinaria cultura che inizia dalla fine dell'Eneolitico per estendersi all'età del bronzo e a quella del ferro. In un ambiente, diverso da quello attuale, fatto di un ampio fiume e di lagune, con isolotti coperti da querce colossali, fiorì una cultura palafitticola, di cui si sono trovate cospicue tracce durante gli scavi industriali per l'estrazione di ghiaia. Oltre al costante affioramento di tronchi giganteschi di rovere, alti anche 26 metri che scardinavano i secchielli d'acciaio delle draghe, vennero in superficie tronchi di olivo con tutte le olive carbonizzate. La profondità da cui affioravano oltre ai legni, ossa di cervo, bue, cavallo, cinghiale, cane delle palafitte, spade, asce, pugnali, falci, spilloni, variava dai 5 ai dieci metri sotto l'attuale livello del fiume. Il dato più interessante è che tale materiale, cui si mescolavano oggetti appartenenti all'età del ferro, veniva rinvenuto confusamente sotto un unico strato alluvionale di quattro, cinque metri di ghiaia pura che lo separava nettamente dall'attuale letto del fiume, segno di un grande evento alluvionale (un Vajont del 5/4° secolo a.c.) che aveva distrutto tutte quelle culture.
Altro fatto interessante è che non si sono mai rinvenute negli scavi che datano dal 1880, forme, o pani metallici, o resti di fusione. Segno che gli oggetti, sempre di elegantissima fattura, come le spade ad antenne e certe asce che costituiscono un unicum, venivano dalla zona danubiana. Una analisi dei bronzi dette un 20% di stagno come quelli del bacino danubiano. Alcune falci in ferro, secondo Battaglia, sono analoghe alle «gorbuse degli antichi Slavi».
La grande quantità di materiale esistente nel museo di Treviso, quello raccolto da A. Krull, Cino Boccazzi, Leo Berti depositato nelle civiche raccolte di Treviso, studiato in parte ma non pubblicato dall'archeologo spagnolo Luis de Monteagudo della Unenersità di Madrid, attende ancora di essere convenientemente e completamente illustrato a livello specialistico.

Cino Boccazzi
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